Riportiamo qui dalla pagina Facebook della Associazione amica AIBAT OdV un interessante articolo della dottoressa Alessandra Petrelli, medico ricercatore, specialista in Medicina Interna presso l’Istituto di Ricerca sul Diabete, Ospedale San Raffaele.
Di 1.266 pazienti con malattie autoimmuni intervistati in un recente studio (VAXICOV [1]), il 54% ha risposto che intendeva vaccinarsi contro il COVID-19, il 32% era dubbioso e il 13% non era intenzionato a vaccinarsi. La percentuale di persone disposta a vaccinarsi aumentava al 62% quando la raccomandazione proveniva dal medico di fiducia, e schizzava all’88% in quei pazienti che erano soliti vaccinarsi contro altri patogeni (es. influenza, pneumococco).
Questo studio ci permette di fare alcune considerazioni:
1. È essenziale informare il personale medico sull’efficacia dei vaccini nelle categorie a rischio;
2. È necessario comunicare l’importanza di ricevere il vaccino ai pazienti affetti da patologie croniche;
3. Chi ha fiducia nella scienza continuerà ad averla. Infatti, chi è solito vaccinarsi per proteggere se stesso e i propri cari, è più propenso a vaccinarsi anche contro il COVID-19.
Detto questo, facciamo un po’ di chiarezza sui vaccini anti-COVID-19 nei pazienti affetti da malattie croniche.
Il CDC, Centro per il Controllo e la Prevenzione delle Malattie, sul tema della vaccinazione ai pazienti con malattie autoimmuni dice: “Devono essere consapevoli che non ci sono attualmente disponibili dati sulla sicurezza dei vaccini anti-COVID-19 per loro (pazienti con malattie autoimmuni). I trials sono in corso.” [2]
Cosa facciamo quindi? Non li vacciniamo? La World Health Organization ci dice: “Sebbene siano necessari ulteriori studi per le persone che convivono con HIV o con malattie autoimmuni o che sono immunocompromesse, le persone in questa categoria fanno parte di un gruppo a cui è raccomandata la vaccinazione e possono essere vaccinate dopo aver ricevuto tutte le informazioni e una completa consulenza da parte del medico curante.” [3] Pertanto, questi soggetti possono essere vaccinati, pur consapevoli che non ci
sono sufficienti studi su questa categoria di pazienti.
Noi medici abbiamo imparato all’università a basarci sull’evidence based medicine (EBM). Tutte le decisioni mediche devono essere basate su dati, preferibilmente generati mediante trials clinici randomizzati (nel caso della valutazione di farmaci). Nell’era del COVID-19 ci siamo trovati completamente spiazzati.
Dov’è l’EBM?
Semplicemente non c’è.
Non abbiamo dati per rispondere ad una serie di domande, tra cui la sicurezza dei vaccini anti-COVID-19 nei pazienti con malattie croniche.
Per fortuna dalla nostra abbiamo la logica e possiamo avvalerci dell’esperienza del passato. Non esiste una controindicazione assoluta a vaccinare i soggetti immunodepressi, ma solo delle raccomandazioni: ad esempio, i vaccini costituiti da virus vivi attenuati non sono raccomandati in questi soggetti, in quanto c’è la potenzialità che si riattivino e si comportino come il virus patogeno da cui derivano nel paziente che li riceve, il cui sistema immunitario potrebbe non essere in grado di contrastare efficacemente l’infezione.[4]
Ma i vaccini al momento disponibili, che hanno mostrato estrema sicurezza nella popolazione generale ed elevata efficacia, non sono vaccini vivi, bensì vaccini genetici ad mRNA incapsulati
in particelle liposomiche (nel caso di Pfizer e Moderna), oppure DNA veicolato da un vettore virale, cioè una versione indebolita dell’adenovirus incapace di replicare (nel caso di AstraZeneca). Non si può escludere che in certe categorie di pazienti, prevalentemente
immunocompromessi, la risposta immunitaria sia ridotta, e con essa anche l’efficacia clinica. Ma come dice l’OMS: “[..] dato che il vaccino non è in grado di replicare, le persone immunocompromesse che fanno parte di un gruppo a cui è raccomandata la vaccinazione
possono essere vaccinate”.[5]
Per cui trattandosi di vaccini non in grado di replicare, questi pazienti possono ricevere il vaccino. Il rischio, seppur minimo, per i pazienti con malattie autoimmuni, è che la risposta immunitaria secondaria all’inoculo del vaccino possa determinare una ripresa della malattia che li affligge. Questo evento, seppur raro, è più probabile in fase attiva di malattia [6]. Pertanto, la decisione se somministrare il vaccino nell’immediato oppure attendere la fase di remissione della malattia va presa in accordo con il medico curante, il quale è a conoscenza della condizione clinica di base.
I pazienti con malattie croniche, in particolare immunodepressione sia primaria che farmacologica, malattie autoimmuni, patologie oncologiche, diabete, e molte altre, hanno maggior rischio di sviluppare una forma di COVID-19 grave [7-8].
L’indicazione è pertanto quella di considerare i pro e i contro: se rientri in una categoria a rischio di contrarre una forma severa di COVID-19, considerando che i vaccini sono sicuri nella popolazione generale, hai indicazione a ricevere il vaccino.
Queste, d’altronde, sono anche le indicazioni ministeriali. Infatti, il piano vaccinale predisposto dal Ministero della Salute prevede, nella fase 2, la vaccinazione delle seguente categorie identificate come estremamente vulnerabili [9]:
1. MALATTIE RESPIRATORIE
2. MALATTIE CARDIOCIRCOLATORIE
3. CONDIZIONI NEUROLOGICHE E DISABILITA’
4. DIABETE/ALTRE ENDOCRINOPATIE SEVERE
5. FIBROSI CISTICA
6. HIV
7. INSUFFICIENZA RENALE/PATOLOGIA RENALE
8. MALATTIE AUTOIMMUNI/IMMUNODEFICIENZE PRIMARIE
9. MALATTIA EPATICA
10. MALATTIE CEREBROVASCOLARI
11. PATOLOGIA ONCOLOGICA ED EMOGLOBINOPATIE
13. SINDROME DI DOWN
14. TRAPIANTO di organo solido, in lista d’attesa o sottoposti a trapianto emopoietico dopo 3 mesi dal trapianto ed entro 1 anno dalla procedura
15. GRAVE OBESITA' (BMI > 35)
Un’ultima domanda: QUALE VACCINO?
I vaccini Pfizer e Moderna vengono attualmente somministrati a soggetti fragili ed anziani, mentre il vaccino AstraZeneca è previsto per la fascia di età compresa tra i 18 e i 65 anni, ad eccezione dei soggetti estremamente vulnerabili.
I soggetti vulnerabili riceveranno i vaccini Pfizer o Moderna.
Questo perché, avendo dimostrato nei trials clinici un livello di efficacia più elevato rispetto al vaccino AstraZeneca, la vaccinazione con Pfizer o Moderna aumenta le chance di proteggere chi rischia di sviluppare una malattia più severa. Attenzione però, questo non vuol dire che se vi proponessero il vaccino AstraZeneca sarebbe saggio rifiutarlo. E’ anche quanto raccomandato, ad esempio, dalle società in area diabetologica ed endocrinologica SID, AMD e SIE che dicono: “Nel caso in cui la vaccinazione con questi
preparati (Pfizer e Moderna) non dovesse risultare possibile in tempi molto brevi, [..] si raccomanda di procedere in ogni modo alla vaccinazione con il vaccino più prontamente disponibile, incluso il vaccino AstraZeneca, al fine di garantire al più presto una copertura vaccinale alla persona con diabete.”[10]
Bisogna, purtroppo, spesso ricordare che il vaccino AstraZeneca è altrettanto sicuro e anch’esso molto efficace, se si pensa che i livelli di protezione dalla forma grave di malattia sono estremamente elevati.[11]
In fondo, non è questo ciò che importa?
Referenze:
[1] Renaud Felten et al., Vaccination against COVID-19: Expectations and concerns of patients with autoimmune and rheumatic diseases, Lancet Rheumatology, 22 Feb 2021 DOI:https://doi.org/10.1016/S2665-9913(21)00039-4
[5] Interim recommendations for use of the AZD1222 (ChAdOx1-S [recombinant]) vaccine against COVID-19 developed by Oxford University and AstraZeneca, interim guidance 10 February 2021, WHO
[6] Vadalà M., et al., Vaccination and autoimmune diseases: is prevention of adverse health effects on the horizon? EPMA J. 2017 Sep; 8(3): 295–311. Published online 2017 Jul 20. doi: 10.1007/s13167-017-0101-y
[7] Haiyan Yang, et al., Autoimmune diseases are independently associated with COVID-19 severity: Evidence based on adjusted effect estimates, Journal of Infection 2020
[8] O’Malley G., et al., COVID-19 Hospitalization in Adults with Type 1 Diabetes: Results from the T1D Exchange Multicenter Surveillance Study, The Journal of Clinical Endocrinology & Metabolism, Volume 106, Issue 2, February 2021, Pages e936–e942, https://doi.org/10.1210/clinem/dgaa825
[11] Voysey M., et al., Single-dose administration
and the influence of the timing of the booster dose on immunogenicity and efficacy of ChAdOx1 nCoV-19 (AZD1222) vaccine: a pooled analysis of four randomised trials. February 19, 2021 https://doi.org/10.1016/S0140-6736(21)00432-3
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